Che cos'è un SIMBOLO? Continuiamo lo studio di Marco - parte 2

 



IL SIMBOLISMO IN MARCO

Per questo studio il testo di riferimento è: “Simbolo e narrazione in Marco. La dimensione simbolica del secondo vangelo alla luce della pericope del fico di Mc 11,12-25” - di Lorenzo Gasparro.

L’autore del libro - Lorenzo Gasparro cssr (Congregatio Sanctissimi Redemptoris), nato nel 1974, è membro della Congregazione del SS. Redentore. Dopo aver ottenuto il Baccellierato presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sez. San Luigi), ha conseguito nel 2002 la licenza presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, e nel 2011 il dottorato in Scienze Bibliche presso l’Ecole Biblique et Archéologique Françaisedi Gerusalemme. Dal 2005 è docente di Sacra Scrittura nell’Università Cattolica del Madagascar (UCM Ambatoroka-Antananarivo). 

*** Lo scrivente sul presente blogger, ha ricevuto espressa autorizzazione del Prof. Lorenzo Gasparro al pubblicare quanto segue, in larga parte preso dal suo libro sopra citato ***

1.INTRODUZIONE

Prima di iniziare la lettura del Vangelo di Marco, dobbiamo avere chiaro cosa identifichi sia il genere “Vangelo” e, più specificamente, lo stile di Marco. Abbiamo già visto METAFORE e PARABOLE. Ora bisogna introdurre la Similitudine, l’Allegoria, la Tipologia ed il Motivo.

La SIMILITUDINE (o COMPARAZIONE) rappresenta il modo più semplice di unione tra i due piani o livelli di significato per mezzo di una particella o di un predicato. Il legame è dato perlopiù attraverso una somiglianza, sebbene esso possa funzionare anche per opposizione. 

Es. Giobbe 14, 7-10:

7 È vero, per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora si rinnova, e i suoi germogli non cessano di crescere; 

8 se sottoterra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco,

9 al sentire l'acqua rifiorisce e mette rami come giovane pianta.

10 Invece l'uomo, se muore, giace inerte; quando il mortale spira, dov'è mai?

I testi biblici utilizzano questa figura in una maniera abbondante e molto diversificata. Vediamo un altro esempio, sempre dal nostro Giobbe: (4, 25-26):

25 I miei giorni passano più veloci d'un corriere, fuggono senza godere alcun bene,

26 volano come barche di giunco, come aquila che piomba sulla preda.

Nell’ALLEGORIA la relazione tra il senso immediato dell’enunciato e quello figurativo è data da una corrispondenza di tipo diretto tra due piani del discorso.

Una storia allegorica funziona come una specie di messaggio codificato da decifrare in funzione di un senso metaforico assegnato dall’esterno. Il lettore è chiamato in questo caso a tradurre a uno a uno gli elementi e ciò può essere più o meno facile a seconda del livello di codificazione utilizzato dall’autore. 

La letteratura apocalittica e quella profetica forniscono vari esempi di questa tecnica. Esempi: Il sogno di Nabucodonosor in Daniele 2 e la visione delle ossa aride di Ezechiele 37 costituiscono due esempi classici.

Ricordiamoci che la Parabola NON va intesa come una Allegoria; infatti, il genere parabolico prende fatti reali della vita di tutti i giorni, o accaduti nell’A.T. per associarli ad un contesto in cui la  spiegazione è il comportamento corretto che ognuno dovrebbe tenere in tale situazione. In genere è l’interlocutore stesso che ricava la chiave di svolta ed è ciò che deve applicare anche nel caso specifico proposto, di cui il racconto iniziale ne ha stimolato la soluzione.

TIPOLOGIA: Un discorso a parte merita la categoria di tipo (o typos), fenomeno tipicamente biblico che articola una figura preparatoria dell’Antico Testamento (il typos) a un compimento nel Nuovo Testamento (l’antitypos). 

Raymond Kuntzmann ha dimostrato chiaramente come la tipologia sia un processo interpretativo «interno alla Bibbia», e come quella cristiana scaturisca in modo naturale dalla tipologia intrabiblica.

Qualche autore inserisce tra le figure anche il MOTIVO: un tema o un’immagine ricorrente che possiede un secondo significato rispetto a quello materiale ma appartenente all’immaginario o al vocabolario proprio di un particolare narratore (pensiamo ad esempio al “Figlio dell’Uomo”).

Avendo come comune denominatore il dinamismo del “doppio senso”, le diverse figure di cui si è appena parlato appaiono spesso in accumulazione o sovrapposizione, rendendo difficile in sede interpretativa una loro chiara distinzione. Tale difficoltà è accentuata dal fatto che non siamo avvezzi al sincronismo con l’autore, sia per la distanza temporale che per la diversità del linguaggio.

2.SEGNO E SIMBOLO

Se vedo un cartello stradale, il segno su di esso indicato (significante) ci dice ad esempio che quella strada non è accessibile e dall’altra parte ci sarà un cartello indicante il “senso unico” di percorrenza. Dunque, non posso svoltare con l’auto in quella strada (significato - del primo cartello).

Un simbolo, è un segno che sì indica qualcosa, ma nello stesso tempo punta al di là di quella cosa. Sempre per restare nel campo dei segnali, se passiamo sopra un ponte ferroviario troviamo un cartello:



 

Certamente è un segno che mi indica di NON toccare i fili (i fili elettrici che danno corrente alla locomotiva), in quanto la conseguenza sarebbe la morte del malcapitato (quindi il simbolo va oltre, al di là del puro significato – non devo toccare i fili, infatti morirei).

Ora, l’esempio è banale, ma il concetto che vogliamo evidenziare è che non tutti i segni sono simboli. 

Il SEGNO è infatti arbitrario perché si fonda su una convenzione che collega un significante (la parte fisicamente percepibile del segno: es. suono, grafia) ad un significato (il concetto mentale o l'idea che il significante evoca).

Il altre parole, possiamo dire che il segno che indica la scritta "attenti al CANE" è arbitrario perché non esiste un legame naturale o motivato tra la parola "CANE e il suo significato (il concetto mentale di cane). È una convenzione sociale, un accordo non scritto tra i parlanti di una lingua, a collegare queste due entità. Ad esempio, un inglese capirebbe la scritta su un cartello che dovesse indicare: "beware of DOG"..

La relazione. dunque,  è stabilita da una convenzione sociale o da un accordo implicito tra i parlanti di una lingua. Ad esempio, la sequenza di suoni "t-a-v-o-l-o" non ha nulla a che fare intrinsecamente con l'oggetto su cui si mangia, ma è così che abbiamo deciso collettivamente di chiamare l’oggetto sul quale si apparecchia per il pasto.

Il SIMBOLO al contrario non è mai completamente arbitrario: la sua specificità è di avere un rimando finale all’essere che trova nel linguaggio la sua espressione.

Un esempio per tutti è “il discepolo amato” di Giovanni: il discepolo amato è un simbolo, il quale indica ogni fedele che segue Cristo sino in fondo, sotto la croce ed oltre.

Un segno, per restare nel contesto cristiano, potrebbe essere il pesce (ICTIS) che identificava appunto l’appartenenza al cristianesimo ("Iesous Christos Theou Huios Sōtēr"). Non aveva invece alcun significato per i non cristiani (tranne per quelli che eventualmente in odor di conversione, appresero).


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