La morte è sicuramente uno dei temi che più sgomentano l’uomo, sin dalla notte dei tempi.
Tra le mille domande che ci potremmo porre ragionando sul tema, nel presente elaborato ne consideriamo sei, che non troverebbero risposta se non alla luce della fede nel Cristo risorto. Esse sono:
- Cos’è la morte?
- Perché c’è la morte?
- Che cosa accade quando moriamo?
- C’è qualcosa oltre la morte?
- Come influisce la consapevolezza della morte nella nostra condotta di vita?
- Si muore una sola volta?
Preciso che l’ultimo punto non ha nulla a che vedere con reincarnazione (1) o con altre filosofie/credenze esoteriche/eretiche del genere, ma riguarda piuttosto il domandarsi se noi sappiamo vivere veramente la nostra vita oppure se la “tradiamo” per paura sedimentata della nostra morte certa e quindi viviamo come morti, o come se morissimo mille volte.
Dunque, perché un elaborato sulla morte? Perché la consapevolezza del trapasso non và ignorata consapevolmente o meno e come ci ricorda Cristo stesso nella parabola delle dieci vergini: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora» (2). La nostra fede deve essere coerente con tutto ciò che riguarda sia il dono della vita attuale che quella nel Regno dei Cieli, gioia eterna che abbiamo la possibilità di vivere grazie al sacrificio salvifico di Gesù, secondo il piano trinitario d’amore perfetto. La nostra fede supportata dalla ragione deve essere ferma e fiduciosa nel Dio che si è rivelato anche e soprattutto tramite il Figlio, morto in croce e risorto per la salvezza degli uomini e come ci ricorda drasticamente S. Paolo: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (3).
I Novissimi è una espressione della dottrina cattolica cristiana che significa “le cose ultime”, ciò che in greco viene indicato con ἔσχατα, termine con il quale indichiamo l’escatologia, ovvero l’insegnamento cristiano sulle cose ultime. I quattro novissimi, sono Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso e la definizione per la morte è: l'ultima cosa che accade alla persona in questa vita. Con essa termina il tempo di prova. La sanzione definitiva della sua corrispondenza o meno alla volontà di salvezza di Dio manifestata mediante Cristo si ha già nel giudizio particolare e viene confermata nel giudizio universale (4).
Il tema della morte affrontato da un cristiano cattolico praticante non andrebbe in realtà considerato come un tema a se stante, in quanto la morte è un passaggio da una vita terrena temporale ad una vita eterna che è felicità assoluta per la misericordia di Dio oppure dannazione eterna per l’uomo che rifiuti l’amore di Dio in maniera incontrovertibile, ma ogni considerazione in merito sarebbe puramente filosofica perché l’uomo non può porre limiti all’amore e alla misericordia dell’Altissimo, pur non dimenticando che misericordia e giustizia di Dio sono legate: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra» (5).
Nella redazione del presente elaborato, saranno tenuti presenti ed utilizzati tre principali riferimenti:- il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC di qui in avanti);
- l’enciclica SPE SALVI (6);
- un articolo della rivista “The Conversation” (7) relativo alle Near-Death Experiences (NDE) (8).
Se parliamo con un ateo, un nihilista, uno gnostico, un non-credente in alcuna dottrina religiosa o presunta tale, potremmo semplicemente sentirci dire che: “La morte è la fine della vita. L’annullamento totale della persona umana, così come lo è per tutti gli altri esseri viventi”. Se parliamo con un religioso di una qualsiasi religione per il fatto stesso che crede in un Dio (o in più dei o comunque in una entità superiore trascendente od immanente) e che la sua dottrina probabilmente cerca di dare una risposta al tema della morte, potremmo sentirci dire che “il suo spirito vivrà dopo la morte fuso totalmente in un Essere Superiore”, oppure – caso particolare del Buddhismo, o almeno di qualche branca di codesta filosofia, che l’uomo è condannato a rinascere in una qualsivoglia forma di vita terrena (uomo, animale, pianta...) in attesa di purificare il proprio karma (9) al punto tale da interrompere il Samsara, ossia il doloroso ciclo delle rinascite e vite terrene cui l’anima è sottoposta. Se parliamo con uno scienziato, ci darà probabilmente il suo punto di vista strettamente tecnico, per cui sentiremo parlare di cessazione delle funzioni biologiche che sostengono un organismo vivente (respirazione, battito cardiaco, circolazione del sangue, attività cerebrale...) e quindi di rigor mortis e conseguente prossima putrefazione della carne (il corpo materiale). Già, ma l’uomo ha anche uno spirito (10) donato da Dio, che oltre alla funzione di anima (11) razionale ha ricevuto in sé l’essere, che non è mortale. Tralascio qui volutamente, per motivi di sintesi, tutta la storia della filosofia dai pre-socratici sino a Platone e poi Aristotele e l’evoluzione teologica sul tema spirito-anima-corpo da S. Paolo passando per S. Agostino ed infine a San Tommaso d’Aquino e le successive filosofie che invece hanno messo in dubbio i concetti di spazio-tempo e causa ed effetto, limitandoli strettamente alla dimensione personale, volte sostanzialmente a negare il Dio creatore che si è rivelato all’uomo, per parlare di qui in avanti procedendo sui tre binari indicati a fine introduzione: il CCC, la SPE SALVI e l’articolo scientifico citato.
Premetto che la parola “morte” nel CCC compare ben 319 volte e 23 volte nell’enciclica SPE SALVI, va da sé, quindi, che non saranno riportati minuziosamente tutti i dettagli relativi alla trattazione di ciascun capitolo del presente elaborato che vi trovino corrispondenza nei due documenti magisteriali citati, per non appesantire troppo il testo finale. Cercherò di non omettere quelli che sono, a mio avviso, i contenuti più pertinenti: l’eventuale mancata trattazione di contenuti che potrebbero risultare altrettanto importanti ad un’analisi più accurata, sarà motivo di successivo approfondimento del presente elaborato, che considero un punto di partenza e non certo di arrivo.
L’aspetto fisiologico
Il significato fisiologico della morte, che l’uomo sperimenta direttamente osservando e partecipando ad esempio alla morte di un congiunto, è sinteticamente espresso nel CCC in particolare nei punti seguenti:
- #1006: (...) la morte corporale è naturale;
- #1007: La morte è il termine della vita terrena (...) la fine normale della vita;
- #1013: La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell'uomo.
Nella SPE SALVI non troviamo particolarmente trattato l’aspetto fisiologico della morte, così come anche nell’articolo citato, più orientato a tentare di rispondere alla nostra domanda n.ro 3 “Che cosa accade quando moriamo?”. Sarà quindi argomento del Cap. 3.
L’aspetto teologico
A questo punto possiamo passare alla trattazione teologica di che cosa sia la morte, affrontando in sintesi l’argomento, iniziando con le parole del CCC. Anticipo che, secondo l’ordine della sequenza delle sei domande, il perché ci sia la morte sarà invece oggetto del Cap. 2 mentre nel presente capitolo ci occuperemo esclusivamente del “cosa” essa sia.
Riprendendo il #1013, la nostra dottrina sgombra il campo da eventuali sincretismi o eresie che ci possano far pensare ad una possibilità di reincarnazione . Il CCC dice infatti chiaramente che la morte:
...è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre (all’uomo, ndr) per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando è “finito l'unico corso della nostra vita terrena”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] noi non ritorneremo più a vivere altre vite terrene. “È stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta” (Eb 9,27). Non c'è “reincarnazione” dopo la morte.
Osserviamo che l’uomo è artefice del proprio destino, potendo esercitare il libero arbitrio: la salvezza di Cristo morto in croce e resuscitato è offerta a tutti, ma sta all’uomo collaborare con la grazia di Dio per ricevere il dono della vita eterna nella beatitudine del Regno. Non vi è infatti predestinazione e nemmeno l’uomo si salva esclusivamente per le proprie opere, ma in virtù della Grazia offerta a tutta l’umanità secondo i canali ordinari (Sacramenti) e straordinari (azione dello Spirito Santo secondo il piano trinitario di salvezza che collaborando con il Cristo risorto che vince la morte ed il peccato del mondo, dona salvezza e speranza a tutto il genere umano che voglia accogliere Dio nel proprio cuore e viva secondo i comandamenti ivi iscritti). Come sacerdoti per offrire, profeti per testimoniare e portare la Parola di Cristo e re per servire i nostri fratelli (per grazia battesimale) siamo in ogni caso tenuti a portare il Vangelo a tutte le genti (12) e a sollecitare il Battesimo di chi ancora non abbia ricevuto il Sacramento, in devota e grata obbedienza all’insegnamento di Nostro Signore che a Nicodemo ha spiegato che «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (13).
Se leggiamo con attenzione quanto dice il CCC al # 1007, ci accorgiamo che la morte non è il termine della vita, ma il termine della “vita terrena” e il #1010 ci introduce ai successivi capitoli del presente elaborato con una premessa di speranza: “Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo”.
Papa Benedetto XVI nella SPE SALVI cita S. Ambrogio (14) che nel discorso funebre per il fratello defunto Satiro argomentò: «È vero che la morte non faceva parte della natura, ma fu resa realtà di natura; infatti Dio da principio non stabilì la morte, ma la diede quale rimedio (...). A causa della trasgressione, la vita degli uomini cominciò ad essere miserevole nella fatica quotidiana e nel pianto insopportabile. Doveva essere posto un termine al male, affinché la morte restituisse ciò che la vita aveva perduto. L'immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio, se non la illumina la grazia». Papa Benedetto XVI prosegue l’enciclica interrogandosi non tanto sulla morte, ma su che cosa sia la vita: essa non è l’immortalità terrena, ma la “vita beata” e qui cita S. Agostino nella lettera a Proba (15). Solo allora sia la vita che la morte, passaggio necessario, trovano la loro sublimazione, il loro significato ultimo, nel piano di salvezza divino.
Per la Scienza, l’invecchiamento ed i processi fisiologici degenerativi portano via via alla menomazione o soppressione della vitalità funzionale della cellula, da cui deriva la progressiva diminuzione delle funzioni vitali. Malattie, stress, clima ed ambiente e contaminazione dei cibi si affiancano alle morti per vecchiaia anticipando in molti casi la dipartita. Ogni organismo vitale, per la Scienza, è destinato a morire, presto o tardi.
Dal punto di vista teologico, il CCC al #1008 risponde direttamente e puntualmente alla domanda del capitolo attuale: “La morte è conseguenza del peccato (...) entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo (16). Sebbene l’uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato. «La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato» è pertanto «l’ultimo nemico» dell’uomo a dover essere vinto”.
Il peccato di Adamo coinvolge tutti gli uomini (17) sottolinea il CCC citando S. Paolo che nella lettera ai Romani afferma chiaramente codesto aspetto (18) aprendo subito le porte alla speranza nel v. 19, quando riferendosi al sacrificio di Cristo ci conforta dicendo “(...) così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (19).
La trattazione del peccato originale non è materia del presente elaborato ma occorre almeno accennare alla gravità di tale allontanamento da Dio, liberamente scelto, che è peccato di disobbedienza verso il Creatore, di orgoglio, di invidia e superbia sino a volersi fare come Lui e pur essendo cancellato con il Battesimo lascia in noi la concupiscenza, ovvero la tendenza al disordine e al peccato (20).
Il diavolo, raffigurato nella Genesi con il serpente, è il tentatore dei progenitori che li ha indotti a commettere il peccato dei peccati. Il CCC al #413 sintetizza il concetto citando il libro della Sapienza dell’A.T.: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. . . La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo (21) ” pertanto “(...) l’uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto” (22).
Dunque, come precisa il CCC al #1006 relativamente a cosa sia la morte: “(...) per la fede essa in realtà è «salario del peccato» (Rm 6, 23)”.
Infine, a conclusione di capitolo, il CCC al #1018, riprendendo il Concilio Vaticano II sintetizza che “In conseguenza del peccato originale, l'uomo deve subire “la morte corporale, dalla quale sarebbe stato esentato se non avesse peccato” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 18]”. Il destino dei progenitori Adamo ed Eva sarebbe stato infatti quello di raggiungere il Paradiso Celeste, senza passare attraverso la morte.
La Scienza, con tutta la sua prosopopea e superbia di sostituirsi a Dio spiegando ogni cosa, non sa dare risposta a questa domanda, tranne osservare il “fenomeno” e fare un’anamnesi del corpo senza vita che via via va incontro alla putrefazione.
Oggi essa ritiene di avere degli strumenti più sofisticati di un tempo, in grado di analizzare ed interpretare i segnali biologici della vita (del cervello, in questo caso) che possono, unitamente alla psicologia, spiegare non tanto quanto avviene nella morte, ma sfatando (così ritiene) con ragionevole concretezza ciò che chi è stato prossimo al passaggio oppure è stato in coma profondo, o è stato “ripreso” dopo un arresto cardiaco anche protratto oltre i limiti conosciuti “crede” di aver provato come sensazioni: quella di una luce in fondo ad un tunnel ed una pace e gioia mai provate. Pertanto, nella prima parte del presente capitolo, vediamo cosa ci dice l’articolo citato, tratto dalla rivista “The Conversation” su tale aspetto, sintetizzando i concetti espressi in lingua inglese propria di tale articolo.
Con NDE si intendono quelle esperienze psico-sensoriali di persone che sono state vicine al trapasso, ovvero che non avevano più alcune delle funzioni biologiche attive pur conservando ancora un’attività cerebrale che poteva essere osservata ed “interpretata” dagli scienziati.
I cosiddetti “esperti” in materia, analizzando i racconti delle persone che si sono “risvegliate alla vita terrena” dopo tali esperienze, sostengono che la luce bianca in fondo al tunnel, la visione di propri cari defunti o di loro animali amati e già da tempo morti, possono essere scientificamente spiegate. Codeste esperienze sarebbero solamente profondi eventi psicologici che uniti ad elementi “mistici” ci farebbero credere ciò che non è: una sorta di oblio forzato dal nostro cervello, in attesa che la luce della vita si spenga definitivamente. Questa sorta di obnubilamento sarebbe quindi una specie di “tranquillante” del nostro cervello, visto che – ci dice l’articolo – le esperienze di premorte variano a seconda dell’età del soggetto e della eventuale credenza religiosa: ad esempio, molti indiani riferiscono di incontrare il re indù dei morti, Yamraj, mentre gli americani spesso affermano di aver incontrato Gesù. I bambini descrivono in genere di incontrare amici e insegnanti “nella luce”. Dunque, una sorta di “catalogo delle esperienze da vivere” che possiamo scegliere a seconda delle nostre credenze, mi verrebbe da dire, parafrasando l’articolista.
Alla positività di gran parte delle esperienze, l’articolo contrappone poi la negatività indotta da alcune di esse, dove si proverebbero sensazioni angosciose quali la mancanza di controllo, la consapevolezza di non più esistere, un immaginario infernale o la percezione del giudizio da parte di un Essere divino (“più elevato” sono le esatte parole dell’articolista a riguardo).
Dopo aver spiegato che cosa siano le NDE, l’articolo prosegue sul “motivo” per cui esse si provano: citano innanzitutto due neuroscienziati, quasi come noi citeremmo due Padri della Chiesa, i quali intanto distinguono che vi sono NDE di tipo uno, associate all’emisfero sinistro del nostro cervello e quelle di tipo due, associate all’emisfero destro. La parte sinistra sarebbe responsabile della sensazione di volare, mentre la destra sarebbe deputata al sentire voci, suoni e musica. Subito precisano però che non sia chiaro perché ci siano questi diversi tipi di esperienza. Eh già, pensare all’anima che sale verso Dio sentendo cori angelici non è da essi contemplato, quindi, per ora, non si sa scientificamente molto altro. Si precisa comunque che sono i lobi del nostro cervello a produrre le “strane sensazioni e percezioni”. Mistero del cervello, mi verrebbe da dire! Ma dove ci si dovrebbe fermare ecco invece un'altra voce autorevole, tal Carl Sagan (23) che ci prepara la ciliegina sulla torta: lo stress della morte produrrebbe nel morituro un ricordo della nascita, suggerendo che il tunnel che le persone vedono non sia altro che il ricordo del canale percorso nel parto.
Improvvisamente l’articolo riconosce in qualche modo “la natura fantasiosa di queste teorie” (cito alla lettera) e subito vengono in aiuto altri ricercatori che almeno provano a dare una spiegazione tecnicamente più plausibile (non dico condivisibile): le endorfine (24) rilasciate durante gli eventi stressanti possono produrre qualcosa come le NDE, riducendo il dolore e provocando piacevoli sensazioni. Allo stesso modo, anestetici come le chetamine possono simulare alcuni aspetti delle NDE come le esperienze fuori dal corpo. Anche la dimetiltriptammina (25) (o DMT), una sorta di droga naturale, potrebbe essere causa degli effetti rilevati dai soggetti che hanno sperimentato le NDE. Ma anche qui, non ci sono tesi certe supportabili.
Le “allucinazioni” descritte potrebbero infine essere provocate dalla mancanza di ossigeno al cervello (diamo per scontato che la respirazione sia cessata) ma dulcis in fundo, ecco la regina delle spiegazioni scientifiche: l’ipotesi del cervello morente. Le cellule cerebrali che iniziano a morire, sarebbero causa di codesta reazione del nostro organo pensante. Ma poiché tale teoria non sarebbe sufficiente a spiegare le esperienze fuori del corpo durante alcune NDE, come si suole dire, “casca l’asino” ancora una volta.
Ed ora lasciamo la Scienza a meritato riposo e meditazione sulla prossima teoria e veniamo a quanto conosciamo da Nostro Signore, dagli Apostoli e da tutta la tradizione della nostra Santa Madre Chiesa che nel corso dei secoli ha interpretato e spiegato le verità rivelate.
Innanzitutto il CCC al #966 precisa che “(...) dopo la morte, la vita della persona umana continui in un modo spirituale” e al #967 spiega chiaramente che “(...) Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della Risurrezione di Gesù”. Non vi sarebbe null’altro da aggiungere: l’elaborato sulla morte, potrebbe tranquillamente finire qui.
Ecco dunque che assume pieno significato quanto abbiamo citato nel #1010 del CCC e riportato in fondo al Cap. 1 (26) e al #1016 che “Con la morte l'anima viene separata dal corpo” in quanto “Nella morte, Dio chiama a sé l'uomo” (27). In questo «essere sciolto» (Fil 1, 23) che è la morte, l’anima viene separata dunque dal corpo e ritorna a Dio (28) .
Al #1012 il CCC ci spiega che “la visione cristiana della morte (...) è espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa: Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo [Messale Romano, Prefazio dei defunti, I]”.
La SPE SALVI riprende innanzitutto il Salmo 22 (23), in particolare il v. 4 (29) in cui si evince che il Pastore (Nostro Signore) ha egli stesso percorso la valle oscura (è disceso nel regno della morte), l’ha vinta ed è tornato per accompagnarci e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio lo si trova (30).
“L’amore incondizionato di Dio, di cui l’uomo necessita, gli fa dire «Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39)” e per mezzo di Lui “siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana « causa prima » del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20)” (31) .
Il Dio che si è rivelato nel Suo Figlio è il Dio della vita, dell’amore, della speranza, il Dio che ci aspetta a braccia aperte e gioisce nel sentirsi chiamare Abbà, come ci ha insegnato Gesù nella preghiera del Padre Nostro. Dunque “Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è «veramente» vita” (32).
Appurato che la morte fisica del corpo non è la fine della vita dell’uomo, Papa Benedetto XVI ci avvisa, secondo la nostra dottrina cattolica, che “con la morte, la scelta di vita fatta dall'uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell'intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all'amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l'odio e hanno calpestato in se stesse l'amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno. Dall'altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d'ora l'intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono” (33).
Infine riporto per intero il brano di Luca 20, 27-38 in cui il Dio della vita, dell’amore e della speranza ci spiega chiaramente come saremo dopo morti:
27 Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: 28 «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. 29 C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30 Allora la prese il secondo 31 e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. 32 Da ultimo anche la donna morì. 33 Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie». 34 Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35 ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; 36 e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37 Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38 Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».
La Scienza, come abbiamo già avuto modo di accennare, non è in grado di rispondere a codesta domanda, in quanto essa ci direbbe “Nessuno è mai tornato dall’oltretomba a dirci se ci sia o meno qualcosa oltre la morte”.
Il CCC illustra in vari passi la vittoria di Cristo sulla morte, prefigurazione della sorte dei giusti che riceveranno il dono della beatitudine eterna. Citiamo:
- “La permanenza di Cristo nella tomba costituisce il legame reale tra lo stato di passibilità di Cristo prima della Pasqua e il suo stato attuale glorioso di risorto. È la medesima Persona del “Vivente” che può dire: “Io ero morto, ma ora vivo per sempre” (Ap 1,18)" (35);
- “(...) la Persona divina del Figlio di Dio ha continuato ad assumere la sua anima e il suo corpo separati tra di loro dalla morte: La Persona unica non si è trovata divisa in due persone dal fatto che alla morte di Cristo l'anima è stata separata dalla carne; poiché il corpo e l'anima di Cristo sono esistiti al medesimo titolo fin da principio nella Persona del Verbo; e nella morte, sebbene separati l'uno dall'altra, sono restati ciascuno con la medesima ed unica Persona del Verbo [San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 3, 27: PG 94, 1098A]” (36)
- “(...) il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione” (Sal 16,9-10) [Cf At 2,26-27]. La Risurrezione di Gesù “il terzo giorno” (1Cor 15,4; 627 Lc 24,46) [Cf Mt 12,40; Gn 2,1; Os 6,2] ne era il segno (...) ” (37)
- “I Padri contemplano la Risurrezione a partire dalla Persona divina di Cristo che è rimasta unita alla sua anima e al suo corpo separati tra loro dalla morte: “Per l'unità della natura divina che permane presente in ciascuna delle due parti dell'uomo, queste si riuniscono di nuovo. Così la morte si è prodotta per la separazione del composto umano e la Risurrezione per l'unione delle due parti separate” [San Gregorio di Nissa, In Christi resurrectionem, 1: PG 46, 617B; cf anche “Statuta Ecclesiae Antiqua”: Denz. -Schönm., 325; Anastasio II, Lettera In prolixitate epistolae: ibid.,359; Ormisda, Lettera Inter ea quae: ibid.,369; Concilio di Toledo XI: ibid.,539]” (38)
- “Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” (2Tm 2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente “morto con Cristo”, per vivere di una vita nuova (...)” (39)
- “E per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione” (40).
Nella SPE SALVI, Papa Benedetto XVI riprende la lettera di S. Agostino a Proba (di cui abbiamo già accennato a fondo CAP. 1) per dire semplicemente, sulle cose ultime: “(...) e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti” (41). Il Papa emerito, commentando il passo, osserva che l’uomo desidera “in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte” e per indicare questa vita beata di cui parla S. Agostino utilizziamo il termine “«vita eterna»”, per indicare “questa sconosciuta realtà conosciuta” (42).
Credo (...) la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen (43). Per noi cristiani cattolici non vi è alcun dubbio sul fatto che ci sia qualcosa oltre la morte e lo confessiamo ogni domenica, giorno del Signore e in ogni festa comandata e molte altre volte, come nella preghiera del Santo Rosario e in altre nostre preghiere personali. Cristo non è solo nostra speranza: Cristo è nostra Pasqua, nostra realtà tangibile che incontriamo nella Santissima Eucaristia e “ci dona il pegno della gloria futura" (44). Cristo è il Buon Pastore che come abbiamo detto non ci abbandona nella valle oscura, ma ci accompagna: Gustate e vedete com’è buono il Signore: beato chi in lui si rifugia" (45).
Scheler (46) sosteneva che l’uomo moderno ha abbandonato la fede nell’immortalità perché ha modificato la concezione della propria vita e della propria morte, avendo spostato il problema dal rapporto tra se stesso e la possibile sopravvivenza dopo la morte alla relazione che egli instaura con la realtà della morte stessa:
«L’uomo moderno non crede più nella sopravvivenza e nella vittoria sulla morte con un’altra vita nella misura in cui non ha più davanti allo sguardo la propria morte, non vive più “in presenza della morte”; più chiaramente nella misura in cui il suo tenore di vita e il suo modo di gestirla rimuove dalla zona chiara della coscienza il fatto intuitivo, da sempre in essa presente, che la nostra morte è sicura; finché non ne rimane che il puro sapere astratto di dovere un giorno morire. Orbene, quando la morte perde la sua immediatezza, e la sua presenza viene ridotta al saltuario affiorare di un sapere astratto, anche l’idea di un superamento della morte nella sopravvivenza non può che avvizzire » (47).
Secondo Scheler, la morte non è un passaggio che si apprende per induzione ma il suo concetto è insito nella coscienza dell’uomo e in generale di ogni essere vivente dunque l’uomo è interiormente consapevole della propria morte. Ma ignorando consapevolmente o meno la sua presenza, l’uomo moderno vive come se non dovesse morire e ignora, perché semplicemente si allontana, il quesito del “dopo”. Non si pone nemmeno la questione secondo Epicuro: “Io non ho paura della morte: quando ci sono io la morte non c’è. Quando c’è lei, non ci sono io!”.
La morte è dunque per molti un “abisso pauroso”: così papa Pio XII descrive il nihilismo del Novecento che spesso attanaglia l’agnostico, incapace di quella speranza che per il cristiano passa anche attraverso la memoria rispettosa e pietosa di chi non c’è più, attraverso la consapevolezza della dignità che caratterizza ogni esistenza.
Per noi cristiani cattolici, la questione è molto diversa; la morte non è la fine dell’uomo perché Cristo ha vinto la morte e la Sua resurrezione è prefigurazione del destino riservato all’essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio e salvato dal peccato del mondo grazie alla morte in croce e resurrezione della seconda Persona della Santissima Trinità, progetto dell’amore trinitario perfetto e culmine dell’economia della salvezza.
Il CCC al #1007 riporta: “Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare come la fine normale della vita. Questo aspetto della morte comporta un’urgenza per le nostre vite: infatti il far memoria della nostra mortalità serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza. Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza (...), prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato (Qo 12,1.7)”.
Anche Gesù, vero Dio e vero uomo, ha provato l’angoscia della morte nel Gestemani, come ci ricorda il CCC al #1009: “Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subito la morte, propria della condizione umana. Ma, malgrado la sua angoscia di fronte ad essa, egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. L’obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della morte in benedizione”.
E quindi, come dobbiamo comportarci dinnanzi all’ora della nostra morte? “La Chiesa ci incoraggia a prepararci all'ora della nostra morte (Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore”: antica Litania dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi “nell'ora della nostra morte” (Ave Maria) e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?" (48).
Nella SPE SALVI Papa Benedetto XVI fa echeggiare un monito che ci indica esattamente come vivere la nostra vita, non come una monade, ma in comunione con il prossimo: “Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate una con l'altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come nel bene. Così la mia intercessione per l'altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppure dopo la morte. Nell'intreccio dell'essere, il mio ringraziamento a lui, la mia preghiera per lui può significare una piccola tappa della sua purificazione. E con ciò non c'è bisogno di convertire il tempo terreno nel tempo di Dio: nella comunione delle anime viene superato il semplice tempo terreno. Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell'altro né è mai inutile. Così si chiarisce ulteriormente un elemento importante del concetto cristiano di speranza. La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale" (49).
La domanda è forse la più provocatoria. La risposta, per quanto abbiamo analizzato nei precedenti capitoli, è scuramente: sì. Si muore solo una volta. Non entro volutamente nel discorso della resurrezione di Lazzaro, o del figlio della vedova di Naim o della figlia di Giairo. Dico solamente che sono miracoli di Nostro Signore che riportano in vita quelle persone defunte, non sono “resurrezioni” nel senso di riunione finale dell’anima immortale con il corpo glorioso, per l’eternità, come Cristo stesso ha per primo attuato. Parlando della vita, Egli ci dice infatti: “Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” (50).
Dov’è allora la provocazione della domanda? Nel fatto che se non c’è la speranza, se la vita fosse tutta qui, se la paura della morte ci costringesse a vivere morendo mille volte, gioverebbe vivere? Se per la paura di fare questo, o quello ci richiudessimo in una fortezza impenetrabile per paura di malattie, catastrofi, eventi naturali etc. a cosa gioverebbe vivere? E se vivessimo in eterno qui su questa terra? Perché dovrei scrivere questo elaborato, fare delle attività che potrei tranquillamente rimandare diciamo di qualche secolo?
La nostra vita è un prezioso dono di Dio, che vale la pena vivere al meglio, con una coscienza formata e retta, esercitando le virtù che sono la nostra vera libertà, strada impervia verso un cammino di santità.
“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti. Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! ” (51).
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Note/Riferimenti
(1) La lettera agli Ebrei al cap. 9, vv 27-28 precisa come non vi sia reincarnazione dopo la morte umana: “27 E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, 28 così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza”. Vedasi anche CCC al #1013, più avanti citato.
(2) Mt 25,13. La parabola completa è raccontata nei vv. 1-13 del cap. 25 del Vangelo secondo S. Matteo.
(3) 1Cor 15,14. S. Paolo enuncia la dottrina che è il cuore del Vangelo: la salvezza donata da Dio tramite il Figlio morto in croce e risorto, il quale vince la morte, va oltre i limiti fisici della vita dell’uomo. Il tema, allora come oggi, è un punto nevralgico del cristianesimo e le opinioni e le dottrine divergenti che già nella chiesa nascente ma anche in tutta la storia hanno attraversato la nostra fede ortodossa andavano e vanno confutate sostenendo la verità con spiegazioni chiare e derivanti dagli Apostoli, testimoni affidabili della resurrezione. Il cap. 15 della prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corinzi si può dividere in tre parti: il contenuto essenziale del vero Vangelo (vv 1-11), il tema della risurrezione per chi crede e avrà creduto in Cristo (vv. 12-34) e la terza parte in cui l’Apostolo spiega come avrà luogo tale resurrezione (vv. 35-53). Il capitolo 15 si conclude con un inno alla vittoria sulla morte (vv. 54-58).
(5) Mt 25,31. La parabola completa è raccontata nei vv. 31-46 del cap. 25 del Vangelo secondo S. Matteo.
(6) Enciclica di Papa Benedetto XVI del 30/11/2007, sulla speranza cristiana e come essa possa salvare l’uomo.
(7) "Are near-death experiences hallucinations? Experts explain the science behind this puzzling phenomenon”, 4 dicembre 2018.
(8) Le esperienze ai confini della morte sono fenomeni descritti in genere sia da soggetti che hanno ripreso le funzioni vitali dopo aver sperimentato, a causa di gravi patologie o eventi traumatici, la condizione di arresto cardiocircolatorio, sia da soggetti che hanno vissuto l'esperienza del coma (per ulteriori approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Esperienze_ai_confini_della_morte) (9) Nella filosofia e religione indiana, il Karma è l'azione che ogni essere senziente compie all'interno di quel principio di causa-effetto. Il Buddhismo o almeno alcune sette di tale filosofia, acquisiscono questi principi attribuendo sostanzialmente i medesimi significati a codesta terminologia.
(10) CCC #367: “Spirito” significa che sin dalla sua creazione l'uomo è ordinato al suo fine soprannaturale, [Concilio Vaticano I: Denz. - Schönm., 3005; cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 22] e che la sua anima è capace di essere gratuitamente elevata alla comunione con Dio [Cf Pio XII, Lettera enciclica Humani generis: Denz. - Schönm., 3891].
(11) CCC #366: La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio [Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm., 3896; Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 8] - non è “prodotta” dai genitori - ed è immortale: [Cf Concilio Lateranense V (1513): Denz. -Schönm., 1440] essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale.
(12) Mt 28,19-20.
(13) Gv 3,5. L’intero brano del Vangelo secondo S. Giovanni è raccontato nel cap. 3, vv. 1-36; a mio umile e modesto parere, una delle più belle pagine di codesto Vangelo.
(14) Vescovo di Milano e dottore della Chiesa Cattolica del IV secolo.
(15) Una vedova romana benestante e madre di tre consoli.
(16) A causa del peccato originale commesso dai progenitori Adamo ed Eva (Gen 3, 1-19).
(17) CCC #402.
(18) Rm 5,12.
(19) Rm 5,19.
(20) CCC #418 e Rm 7, 18-20: 18 Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19 infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20 Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
(21) Sap 1,13; Sap 2,24.
(22) CCC #400; Gen 3,19.
(23) Astronomo, divulgatore scientifico e autore di fantascienza statunitense. È stato uno dei più famosi astronomi, astrofisici, astrobiologi ed astrochimici del Novecento.
(24) Le endorfine sono un gruppo di sostanze chimiche prodotte dal cervello, nel lobo anteriore dell'ipofisi, classificabili come neurotrasmettitori. La loro azione è simile alla morfina e ad altre sostanze oppiacee.
(25) È una triptammina psichedelica endogena, presente in molte piante e nel fluido cerebrospinale degli esseri umani, sintetizzata per la prima volta nel 1931 dal chimico Richard Manske.
(26) CCC #1010: Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo.
(27) CCC #1011.
(28) Non “in Dio”, ma “a Dio”. L’espressione “in Dio” significherebbe, come pretendono le dottrine mistico-cabalistiche, che il nostro spirito si perderebbe in Dio stesso, come la goccia nell’oceano. “A Dio” significa invece, correttamente, “arrivare” a Dio, ovvero completare un cammino in cui io rimango io e Dio rimane Dio.
(29) “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”.
(30) SPE SALVI §6.
(31) Ibid, §26.
(32) SPE SALVI, §31.
(33) Ibid, §45.
(34) Pierluigi Baima Bollone è medico e professore ordinario di Medicina legale nell'Università di Torino.
(35) CCC #625.
(36) CCC #626.
(37) CCC #627.
(38) CCC #650.
(39) CCC #1010.
(40) CCC #1016.
(41) SPE SALVI, §12.
(42) Ibid, §12.
(43) Dal Simbolo degli Apostoli.
(44) Preghiera nel rito ordinario della Santa Comunione e il viatico agli infermi dati dal ministro straordinario.
(45) Salmo 33 (34).
(46) Max Scheler (Monaco di Baviera, 22 agosto 1874 – Francoforte sul Meno, 19 maggio 1928) è stato un filosofo tedesco.
(47) Max Scheler: “Il dolore, la morte, l’immortalità” Editrice Elle Di Ci, 1983.
(48) CCC #1014.
(49) SPE SALVI, §48.
(50) Gv 10,18.
(51) Mt 7,12-14.
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