Attenti alla punteggiatura!

 Dedico questo post a mia figlia, che in famiglia è l’unica a conoscere il greco antico (spero non mi tiri le orecchie troppo forte!).

Quando frequentavo le scuole elementari, si imparava a fare le aste, a leggere con la corretta punteggiatura, a comprendere e poi dare un senso a ciò che si leggeva, far di dettato ed imparare la grammatica italiana.

Tra gli esempi illustrati nel testo di studio, c’era una scenetta che ritraeva una graziosa signora che stirava, un signore un poco stempiato che leggeva il giornale ed un bambino che giocava seduto per terra ed osservava i genitori. La didascalia riportava: “La mamma stira il babbo, legge”. La frase era barrata in rosso e appresso era riportata la dicitura corretta; “La mamma stira, il babbo legge”.

Non penso sia necessario spiegare a lor signori la differenza tra le due frasi. Tra l’altro non intendo arrecare offesa alcuna alla teoria gender che imporrebbe di scrivere “Il genitore 1 stira, il genitore 2 legge” ma che volete, negli anni ’60 ancora si insisteva sul fatto che ‘maschio e femmina li creò’ e ‘ i due saranno una sola carne’. Eravamo sicuramente ‘démodè’. D’altronde, al giorno d’oggi, bisogna stare pure attenti a chi porta a spasso il cane: ne potrebbe andar di mezzo una faida famigliare.

“Ma dove si vuol andare a parare con questo discorso?” – diranno impazienti i miei irriducibili readers.

Orbene, arrivo subito al motivo del post. Se prendiamo il deutero Isaia, Is 40,3 leggiamo:

Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio».

Cosa significa questa frase? Che l’uomo il quale voglia convertirsi ed aprire il proprio cuore a Dio, deve darsi una bella riassettata interna ed il miglior modo per farlo è una buona introspezione, un esame di coscienza che lo aiuti ad identificare ciò che fa di bene e ciò che fa di male. Scartando via via il secondo elemento (il male), si spiana la strada affinché il Signore possa raggiungere il nostro cuore e irrorarci della Sua Grazia.

Perché il deserto? Perché ricorda la lunga permanenza del popolo liberato e uscito dall’Egitto girovagando per 40 anni (qui si aprirebbe un'altra questione sulla effettiva durata) in quel luogo inospitale, esperienza indispensabile per poter far chiarezza dentro se stessi. È per questo che oggi, ad esempio, durante la lectio divina, c’è l’espressione “fare deserto”, cioè stare un po’ di tempo con sé stessi, in solitaria, meditando sulla Parola ascoltata, per poi riunirsi nuovamente con gli altri e condividere ciò che la Parola ci ha detto personalmente.

Nel Nuovo Testamento, nel Vangelo secondo Matteo 3,3 parlando di Giovanni il Battista viene riportato:

Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse:

               Voce di uno che grida nel deserto:

              Preparate la via del Signore,

              rendete dritti i suoi sentieri!

 

Notate una ‘leggera’ differenza? Sì, proprio la punteggiatura...

 

Leggiamo dal § 1.7 del testo “NUOVI ITINERARI ALLA SCOPERTA DEL GRECO ANTICO di Francesco Michelazzo:

I testi greci che leggiamo nelle edizioni moderne si presentano corredati da segni di interpunzione e da altri elementi grafici: (...) (e qui in sostanza sono elencati la virgola, il punto, il ‘punto in alto’ per indicare ‘:’ o ‘;’, il ‘;’ usato invece per indicare il nostro ‘?’ ndr).

(...)

La reale pratica scrittoria dell’antichità era però molto diversa e...molto più rudimentale, sia per la lenta diffusione della scrittura e della stessa alfabetizzazione, sia per l’assenza di tecnologie scrittorie in grado di favorire l’affermarsi di standard editoriali comuni. L’aspetto più vistoso è costituito dalla cosiddetta scriptio continua (il fatto cioè di scrivere senza separare le parole) e dalla quasi totale assenza di interpunzioni.(...).

 

Ecco allora che domando ai ‘traduttori’, che sicuramente si appelleranno al fatto che anche l’illustrissimo Padre Angelico Poppi (riposi in pace) nella sua “Sinossi Quadriforme dei quattro Vangeli greco – italiano” fa altrettanto, perché mettete il punto in alto ad indicare il “:” se la punteggiatura in Isaia è tutt’altra? (dell’originale Poppi riportato qui sotto, ho omesso gli accenti per non complicarmi troppo la vita):

 

Φωνη βοωντος εν τη ερημο·  osservate il punto in alto, che simboleggia il nostro “:”

 Vi scrivo anche traslitterata la frase: Fone Boontos en te eremo (per i luminari del greco antico e moderno si, si lo so... si pronuncia non proprio come è scritto).

 Allora, va bene che Giovanni trascorreva parecchio tempo nel deserto cibandosi di ciò che la natura gli forniva in quell’arido luogo, ma di lì a farlo gridare nel deserto, sgolandosi per essere udito solo dalle pietre e dalle cavallette ce ne passa... Perché invece, traducendo correttamente il citato Isaia, non si fa dire a Matteo ciò che in effetti Isaia afferma, ovvero:

Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio».

Forse era troppo semplice? O vogliamo lasciare che la mamma stiri il babbo?

χαίρετε ὦ φίλοι

 

(la voce del padrone)

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