Anania e Saffira; Nadab e Abiu
Anania e Saffira
Un episodio che fa riflettere è sicuramente ciò che avviene in Atti degli Apostoli 5,1-11. Nella comunità di Pietro e degli Apostoli, tutti mettevano in comune ciò che avevano affinché il sostentamento non mancasse a nessuno. Anania e Saffira sono marito e moglie che in sostanza vendono un loro possedimento ma, anziché condividere l’intero ricavato, ne trattengono una cospicua parte e Anania porta a Pietro solo la “piccola” parte che intende condividere. Sgridato da Pietro, Anania muore. Stessa sorte per la moglie, giunta poco dopo al cospetto di Pietro.
Ora, qui non si vuole discutere sul fatto in se e come vada
interpretato, sulla gravità, sul possibile peccato contro lo Spirito Santo
(imperdonabile quindi), sul motivo della morte, se fu una punizione, un
rimorso...No. Ciò che si chiede sarebbe un'unica interpretazione in linea col Magistero della Chiesa (che purtroppo io personalmente non conosco per tale frangente e se qualcuno volesse illuminarmi in merito, sarebbe il benvenuto) e non diverse
interpretazioni, seppur autorevolissime, che lasciano però interdetti per le
loro abissali differenze.
Mi riferisco in particolare a ciò che ho letto e riporto come citato nella fonte a sua volta indicata:
1)
Commento attribuito ad alto prelato della Chiesa Cattolica (non lo nomino, visto che l'articolo non è firmato, ed il sottoscritto non si assume alcuna responsabilità) preso da: https://difenderelafede.freeforumzone.com/d/8815006/Atti-5-il-caso-di-Anania-e-Saffira-morti-all-istante-trattato-da-Teofilo-su-FC/discussione.aspx?MobOv=1
(...) Tuttavia, agli occhi di
Luca e secondo lo stile biblico, la vicenda ha soprattutto un valore simbolico.
Chi viola per smania di possesso e per egoismo il precetto dell’amore nei
confronti del prossimo è uno “scomunicato”, è come se fosse morto per la
comunità, è fuori dal cerchio vitale della comunione ecclesiale e della grazia
divina.
2)
Leggiamo invece, nel “BOLLETTINO”
della “SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE” N. 0758 del 16.10.2018, la domanda
di Don Davide (riporto il tutto per intero, visto che il bollettino è disponibile ed anche se non tutto è relativo all’argomento
del post, non voglio estrapolare da una domanda e risposta complesse):
“Santo Padre, sono don Davide,
da due settimane diacono della diocesi di Milano. Santità, vorremmo rivolgerLe una
domanda a partire dalla frase paolina “Siate lieti nella speranza”. Quello
della speranza, infatti, è un tratto necessario ed essenziale della
testimonianza che la Chiesa deve dare di Cristo, ed è solo la vera speranza che
sgorga dalla Pasqua di Gesù a permettere a noi seminaristi di consegnare la
vita a Dio e alla sua sposa. Molti, però, sono i nemici di questa speranza:
negli ultimi mesi abbiamo assistito a gravi vicende che hanno scosso dall’interno
la barca di Pietro e ci hanno profondamente desolato. Le chiediamo: come stare
autenticamente davanti agli scandali che ci affliggono e coinvolgono anche i
consacrati? Come aiutare i fedeli a non perdere la speranza malgrado la povertà
dei suoi ministri? Insomma, quali passi di conversione per noi preti e futuri
preti in questo senso?”
E la relativa risposta del Santo
Padre Papa Francesco:
“È necessario che ci siano
degli scandali” – dice Gesù. Lo scandalo è dall’inizio della Chiesa: pensate
ad Anania e Saffira, quei due che volevano truffare la comunità: uno scandalo.
Pietro ha risolto in modo chiaro lo scandalo, in quel caso: ha “tagliato la
testa” a tutt’e due. Gesù dice che sì, è necessario che ci siano gli
scandali per vedere dove sta il tuo cuore, ma anche ammonisce: “Guai, guai a
voi se scandalizzate uno di questi”. Scandalizzare il popolo di Dio, questo è
bruttissimo. È bruttissimo. E non parlo dello scandalo dei deboli, ma del popolo
di Dio: lo scandalo del prete al popolo di Dio. Nella mia terra, per esempio,
il popolo di Dio non si scandalizza molto, ma agisce. Per esempio, è capace di
perdonare un povero prete che ha una doppia vita con una donna e non sa come
risolverla: “Ah, povero uomo, aiutiamolo…”, ma non condanna subito. È capace di
perdonare un altro prete che è un po’ solo e prende il bicchiere troppo spesso:
“Eh, poveretto, un po’ di vino gli fa bene, è solo…”. Il popolo ha una saggezza
grande. Ma non ti perdona il prete che maltratta la gente: questo non te lo
perdona! Perché si scandalizza. E non ti perdona il prete attaccato ai soldi:
non te lo perdona. Scandalizzare la gente è una cosa brutta, e anche
scandalizzare il presbiterio è una cosa brutta. Se tu vai a una riunione di
presbiterio e parla il vescovo, o parla un altro, e poi esci con uno o due
amici a chiacchierare contro il vescovo o contro quell’altro che ha detto
quella cosa, contro quell’altro… questo è uno scandalo che ferisce il corpo. Lo
scandalo ferisce. Noi dobbiamo essere chiari: su questo punto non cedere. Gli
scandali, no. Soprattutto quando gli scandali feriscono i più piccoli. Il
popolo è più semplice… Condannare lo scandalo, sempre. Non cedere. “Ma come
posso fare?”. Vai, parlagli. Parlagli come fratello: “Senti, tu stai scandalizzando
la gente con questo”. O vai dal vescovo e dillo al vescovo: “Gli parli lei come
padre”. Ma quando voi doveste vedere che un prete scandalizza, per favore
andate o direttamente da lui o dal suo amico o dal parroco o dal vescovo,
perché lo aiuti. In Argentina c’è l’abitudine di invitare i sacerdoti alla
festa delle nozze: quando fai le nozze, poi ti invitano alla festa. Da noi si
fanno in tarda serata, le nozze; poi c’è la festa. E tanti preti vanno lì e fanno
una brutta figura perché sono in mezzo a una festa mondana e poi bevono
troppo... Uno scandalo… “No, io vado per fare apostolato” – Ma per favore!
[ridono] È vero che gli sposi chiedono “sì, venga, venga!”, ma i preti furbi
dicono così: “No, veda, io verrò, ma quando voi tornerete dal viaggio di nozze,
io verrò a casa vostra, benedirò la casa e farò cena con voi due”. Questo non
scandalizza. Ma, per favore, l’arte di stare al proprio posto. Per essere nel
posto di sacerdote non bisogna essere rigido, no, umano, normale. Ma al tuo
posto. Non scandalizzare mai. Dietro la tua domanda c’è lo scandalo degli
abusi. Voi conoscete le statistiche: il 2% degli abusi che si fanno sono stati
fatti da preti. “Ah, è poco, Padre”. No. Perché se fosse un solo sacerdote,
questo è mostruoso. Non giustifichiamoci perché siamo soltanto il 2%. Il 70%
avviene nelle famiglie e nel quartiere; poi, nelle palestre, gli allenatori;
nelle scuole… È uno scandalo, ma è uno scandalo mondiale che a me fa pensare ai
sacrifici umani dei bambini, come facevano i pagani. Su questo punto, parlate
chiaro: se voi vedete una cosa del genere, subito al vescovo. Per aiutare quel
fratello abusatore. Subito al vescovo. Ma ci sono altri scandali di cui non è
di moda parlare. Uno scandalo forte è il prete mondano, quello che vive nella
mondanità spirituale. Un uomo educato, socialmente ben accettato, ma mondano.
Mai lo si vede pregare davanti al tabernacolo; mai tu vedi che va in un ospedale
e si ferma e prende le mani agli ammalati, mai. Mai opere di misericordia,
quelle difficili da fare. Fa il prete mondano: questo è uno scandalo. E la
mondanità… Mi ha colpito tanto quando ho letto, per la prima volta, Meditazione
sulla Chiesa del Cardinale de Lubac: l’ultimo capitolo, le ultime due pagine.
Cita un benedettino che dice che il peggiore peccato della Chiesa è la
mondanità spirituale. E’ convertire la religione in un’antropologia. Leggete
queste due pagine: vi farà bene. Vi farà bene.
(Mt 18,21-22) 21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse:
«Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?
Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a
settanta volte sette.
Il “valore simbolico” di un episodio, non è solamente una spiegazione
(anche se a volte comoda) di esegeti o di prelati di una Chiesa piuttosto che
un’altra: il modo in cui un testo antico si interpreta è certamente non sempre e
solo il senso letterale: occorre mettersi in sincronia con l’autore (in questo
caso agiografo, cioè autore sacro) e ricavarne il messaggio che egli voleva diffondere
nella comunità o nel tempo in cui scriveva. Dobbiamo inoltre fare anche una
analisi diacronica per chiederci cosa quel testo voglia dire, ai nostri giorni
ed in particolare a noi stessi.
Nadab e Abiu
Anche quando YHWH nell’Antico Testamento (Levitico 10,1-11
[*]) “punisce” due dei figli di Aronne rei di aver acceso incenso per un
cerimoniale non richiesto da YHWH stesso, autorevoli esegesi rabbiniche (ad
esempio il defunto Rabbino Elia Kopciowski – citato in https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=75730643)
parlano non di morte fisica dei due, ma morte “al cospetto di YHWH”, ovvero
essi non sarebbero più stati graditi come Sacerdoti ma sarebbero stati “ridotti
allo stato laicale” (per usare un termine della nostra Chiesa).
Certo è, leggendo l’episodio, che è quanto meno strano che:
1) 1) Le tuniche vengono lasciate
addosso ai ‘cadaveri’ (fisici o morali)
2) I due vengono portati “fuori
dell’accampamento” (più i morti fisici che morali erano condotti al di fuori di
dove il popolo risiedeva)
3) Ad Aronne e ai due dei
quattro figli rimasti, Mosè consiglia di non stracciarsi le vesti per non morire
essi stessi e YHWH si adiri contro tutta la comunità (altre scomuniche?)
4) La famiglia di Aronne e
tutta la comunità può comunque far lutto per la perdita
Che dire? Effettivamente non basta raccomandare ad un bambino “Anton Giulio, non mettere le dita nella presa di corrente, neh? Mi raccomando...”. Forse è meglio uno schiaffetto sulla mano già pronta a sperimentare, oppure un racconto simbolico perché si evitino guai molto peggiori!
(l’illustrazione qui riportata è di James Tissot)

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